Uno studio del Policlinico sul farmaco cardiologico più vecchio del mondo
(Pavia, 20 marzo 2018) - La prima descrizione sull’uso della digitale in cardiologia risale al 1700. Da allora generazioni di medici e di cardiologi la hanno usata per curare lo scompenso cardiaco e la fibrillazione atriale. Si sa da moltissimo tempo che il rischio di tossicità per sovradosaggio è molto alto. Nonostante questo, il farmaco è inserito nell’elenco dei farmaci essenziali della Organizzazione Mondiale della Sanità ed è consigliato dalle linee guida correnti americane ed europee per la cura della fibrillazione atriale. Per questo oltre 10 milioni di pazienti assumono digitale ogni giorno.
Le prime segnalazioni sul possibile rischio legato alla digitale sono di oltre 30 anni fa e negli ultimi anni la discussione se il farmaco fosse associato a rischi o meno è stata molto accesa, con opinioni contrastanti.
Grazie ad un accordo di collaborazione tra il Centro di Ricerca Clinica Cardiovascolare (CCRC) del San Matteo e la Duke University (una delle università più famose e prestigiose degli Stati Uniti, a Durham, nella Carolina del Nord) tre cardiologi del San Matteo hanno potuto ideare e condurre una analisi su circa 17000 pazienti affetti da fibrillazione atriale in tutto il mondo, di cui 1/3 in terapia con digitale, con l’obiettivo di chiarire definitivamente il ruolo di questo farmaco.
I risultati della ricerca dei tre specialisti del Policlinico - Gaetano De Ferrari, Roberto Rordorf e Sergio Leonardi - sono stati pubblicati in questi giorni sulla più importante rivista di cardiologia (Journal of the American College of Cardiology). Lo studio ha evidenziato un aumento della mortalitànei pazienti trattati con digitale, soprattutto nelle prime fasi del trattamento.
Il grande vantaggio di questa ricerca, rispetto ad ogni altro, consiste nel fatto di aver misurato il dosaggio di digitale nel sangue. Si è potuto osservare come aumentando la concentrazione del farmaco aumenta il rischio; in particolare per concentrazioni superiori a 1.2 ng/ml questo aumento di rischio è significativo.
“La digitale sembra aumentare in particolare il rischio di morte aritmica – spiega Roberto Rordorf, responsabile della struttura di Aritmologia– un effetto che è particolarmente evidente nei primi mesi dall’inizio del farmaco”.
“Ho lavorato molti anni alla Duke University e sono felice di questa pubblicazione, frutto della collaborazione tra il San Matteo e l’Università americana e che porta prestigio al nostro Ospedale” gli fa eco Sergio Leonardi.
“Pensiamo che questo studio sia così importante da portare ad un cambiamento nelle linee guida internazionali sull’uso della digitale nei pazienti con fibrillazione atriale” Gaetano De Ferrari, Direttore del Centro di Ricerca e dell’Unità di Terapia Intensiva Cardiologica. “Crediamo che oggi prima di pensare alla digitale si debba provare ad usare tutti i farmaci alternativi, che sono più sicuri (ad esempio i beta-bloccanti). Se proprio non possiamo fare a meno di usarla, allora dobbiamo prescrivere la dose minima efficace e tenere sotto controllo le concentrazioni plasmatiche” conclude il cardiologo.
(Nella foto, a sinistra, Gaetano De Ferrari; a destra, Roberto Rordorf)