Il ruolo del digiuno prima della chemioterapia
(Pavia, 5 aprile 2018) - Sempre più spesso si parla di digiuno come misura per aumentare l'effetto della chemioterapia e ridurre i suoi potenziali effetti collaterali. Non solo sulle pagine patinate di riviste di costume o con finalità divulgativa, ma anche sui social network e in rete, alimentando messaggi ambigui o fuorvianti. Sono anche in vendita on-line kit che, semplicemente per digiunare, costano ai pazienti circa 350 dollari alla settimana.
In questo contesto, si colloca l’ultima importante pubblicazione (su BMC Cancer) del gruppo di lavoro che vede la collaborazione tra AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica), SINPE (Società Italiana di Nutrizione Artificiale e Metabolismo) e FAVO (Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia). Firme principali dello studio, Riccardo Caccialanza e Paolo Pedrazzoli, Direttori rispettivamente della Nutrizione Clinica e dell’Oncologia del San Matteo.
Il lavoro conferma che la grande maggioranza delle informazioni a proposito del digiuno e della restrizione calorica prima del trattamento antiblastico derivino da studi condotti in vitro o su animali.
“Nonostante le iniziali evidenze precliniche siano promettenti in termini di protezione delle cellule sane e potenziamento delle risposte terapeutiche sulle cellule tumorali –spiega Caccialanza - i dati clinici sull’efficacia del digiuno preterapia, sulla restrizione calorica preventiva o sulle diete periodiche con micronutrienti che simulano il digiuno, sono oggi scarsissimi e si limitano a studi pilota o serie aneddotiche, mentre alcuni studi adeguatamente campionati sono in corso da tempo, ma, un po’ curiosamente, non sono ancora stati pubblicati”.
Da questo punto di vista, i due specialisti del San Matteo raccomandano estrema cautela in proposito, per evitare potenziali rischi per la salute dei pazienti.
“Il digiuno, specie se ripetuto o prolungato – racconta Pedrazzoli - può indurre malnutrizione e innescare la progressiva riduzione delle masse muscolari fino alla sarcopenia, condizione notoriamente associata a un peggioramento dell'outcome clinico, una peggiore tolleranza ai trattamenti e un deterioramento della qualità di vita nei pazienti oncologici”.
“Sebbene non vi siano dati scientifici a supporto dell'indicazione alla restrizione calorica - continua il nutrizionista del Policlinico - vi è un fiorire di pubblicazioni divulgative sul tema con il concreto rischio, purtroppo già tramutatosi in realtà, che il suggerimento di una dieta ipocalorica diventi un business commerciale nocivo alla salute dei pazienti.
“Il compito di stabilire il ruolo delle più opportune abitudini alimentari per affrontare al meglio il difficile periodo della terapia oncologica – chiosa Pedrazzoli - deve rimanere basato sulla ricerca clinica seriamente condotta ed essere supportato da evidenze cliniche di alto valore scientifico”.
Nella foto: Riccardo Caccialanza (a sinistra) e Paolo Pedrazzoli