Giornata mondiale della Prematurità
Il 17 novembre si celebra la Giornata Mondiale della Prematurità, istituita nel 2011, al fine di sensibilizzare la società civile sul tema della nascita prematura.
Negli anni questo appuntamento è diventato un importante momento di condivisione, non solo tra gli addetti ai lavori, di ciò che significa nascere prematuro oggi.
Il claim della Giornata per il 2021 è focalizzato sulla
Zero separation
, “
Agiamo adesso. Non separare i neonati prematuri dai loro genitori
”.
Per questo, l’Unità Operativa di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale, in collaborazione con l’associazione Onlus “Aiutami a Crescere” riproporrà l’iniziativa, già collaudata, dell’ingresso dei nonni in reparto, per conoscere per la prima volta i loro nipotini.
I nonni, infatti, anche a causa della pandemia, non possono vedere i loro nipoti a volte per mesi.
Questo sarà possibile nelle giornate di mercoledì 17, giovedì 18 e venerdì 19 novembre, grazie al prezioso aiuto del personale infermieristico che si è offerto di dare il proprio contributo per sostenere questo momento di incontro che sarà fonte di emozione per tutti.
“Crediamo che questa iniziativa sia molto importante per loro, ma anche per i genitori stessi che avranno l’occasione di passare alcuni momenti condivisi con i loro familiari più stretti” commenta Stefano Ghirardello, Direttore UOC Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale.
“La nascita prematura è un evento spesso inatteso e impattante per la famiglia, che si vede proiettata in una realtà ospedaliera ad alta complessità tecnologica – spiega il Direttore UOC Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale -. In particolare, nei primi giorni o settimane di vita, i neonati estremamente prematuri necessitano di ricovero in terapia intensiva neonatale per poter far fronte alle problematiche respiratorie, cardiocircolatorie, neurologiche e nutrizionali complesse correlate alla nascita pretermine”.
Ogni anno, nel mondo, nascono circa 15 milioni di neonati prematuri, cioè prima della 37 settimana di gestazione. In Italia sono oltre 30.000, il 6,9 per cento delle nascite; di questi, circa il 10% nasce gravemente prematuro, ovvero con un’età gestazionale inferiore a 32 settimane. Inoltre, il numero di parti pretermine è aumentato nelle donne con infezione da SarS-CoV-2.
Nelle prime fasi della vita, il genitore è spesso spettatore passivo delle cure mediche ed infermieristiche erogate, benché notevoli sforzi siano in atto a livello europeo ed italiano, grazie alla Società Italiana di Neonatologia e ad altre società scientifiche, per coinvolgere fin dai primi momenti di vita i genitori nella cura ed assistenza del neonato.
Purtroppo, in caso di nascita alle età gestazionali più basse, non sempre il neonato è in grado di sopravvivere. Infatti, la prematurità è la causa principale di decessi in epoca neonatale nel mondo, con un’incidenza compresa tra il 15 e il 40% nelle età gestazionali estreme.
“In Italia, grazie all’elevata e diffusa competenza nelle cure del neonato prematuro, la mortalità neonatale è tra le più basse d’Europa – dichiara il dottore Ghirardello -. Questo dato, seppur molto confortante, presenta il rovescio della medaglia. Circa fino al 50-60% dei neonati estremamente prematuri, infatti, può presentare negli anni a venire disturbi cognitivi, comportamentali ed emotivi, che richiedono una presa in carico multidisciplinare dopo la dimissione dal reparto di terapia intensiva”.
Questa assistenza coinvolge lo staff medico e infermieristico dei reparti di terapia intensiva neonatale, i fisiatri, i fisioterapisti, i neuropsicologi dell’età evolutiva e necessita di un’integrazione con i servizi territoriali e con i pediatri di libera scelta. Una quota, fortunatamente limitata, di neonati estremamente prematuri presenta problematiche più complesse come disabilità gravi oppure un’insufficienza respiratoria protratta che richiede presidi domiciliari per l’assistenza ventilatoria.
Inoltre, il neonato prematuro ha un rischio significativamente aumentato di ricovero nei primi anni di vita per patologie infettive virali, che nei bambini nati a termine decorrono in modo più mite.
“Si potrebbe dire che la prematurità è una patologia che si prolunga ben oltre la fase ospedaliera, avendo un impatto sociale ed economico rilevante – conclude Ghirardello -. I costi, calcolati non solo in base alle spese sanitarie dirette, ma comprendenti anche l’impegno assistenziale globale e a distanza (giornate di lavoro perse dai care-giver, riabilitazione, aiuto scolastico, ecc.) può superare facilmente i 300.000 euro per i neonati alle età gestazionali più basse”.