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Nuove speranze contro la leucemia linfoblastica acuta

Nuove speranze

(Pavia, 15 febbraio 2017) - Dalla ricerca del San Matteo nuove speranze contro la leucemia linfoblastica acuta positiva per il cromosoma Philadelphia, l'alterazione genetica più frequente nelle forme acute di leucemia fra gli adulti e gli anziani, seppur presente anche in ambito pediatrico. Se ne parla sulla prestigiosa rivista Blood, l'organo ufficiale della Società Americana di Ematologia e la più autorevole al mondo in ambito ematologico, su cui è stato pubblicato in questi giorni uno studio realizzato da un gruppo di ricercatori del San Matteo, coordinati da Patrizia Comoli, Responsabile della Cell Factory e Marco Zecca, primario dell'Oncoematologia Pediatrica.

"L'anomalia genetica – spiega Comoli - è il risultato della fusione di due diversi cromosomi, che attribuisce un vantaggio di crescita alle cellule malate rispetto a quelle normali". La malattia aveva una prognosi infausta fino a qualche anno fa, quando è stato scoperto il farmaco imatinib, il primo di una classe di agenti in grado di colpire in maniera molto precisa la cellula malata. L'impiego di questi farmaci ha aumentato l'efficacia della chemioterapia e del trapianto di cellule staminali emopoietiche. Tuttavia, per i pazienti che non rispondono alle terapie o che ricadono dopo il trapianto, le possibilità di cura rimangono scarse.

Il gruppo di ricercatori del San Matteo "ha dimostrato per la prima volta – aggiunge la specialista - come sia possibile armare i linfociti T, particolari 'soldati' del sistema immunitario, presenti nel sangue periferico di pazienti con leucemia linfoblastica acuta Philadelphia-positiva, in modo da renderli in grado di esercitare un effetto diretto di citolisi, ovvero di distruzione delle cellule leucemiche stesse".

Lo studio preliminare, condotto su 3 pazienti in collaborazione con gli ematologi del Policlinico di Modena, guidati da Mario Luppi, "è partito dall'osservazione – conferma Comoli - che i malati di leucemia linfoblastica acuta Philadelphia-positiva, trattati con il farmaco 'intelligente' imatinib e in remissione da alcuni anni, mostravano un peculiare aumento del numero di linfociti normali nel midollo osseo. Lo sforzo comune dei due gruppi di ricercatori ha permesso di dimostrare come la presenza di questi linfociti, dotati di attività antileucemica, era un fattore centrale nel mantenimento della remissione di malattia. Da qui, i ricercatori di Pavia hanno messo a punto una metodica per poter crescere queste cellule in laboratorio, dando l'avvio ad un programma di terapia cellulare, in combinazione con le terapie già esistenti. Con la stessa metodica è possibile ottenere queste cellule non solo dai pazienti, ma anche da soggetti sani donatori di cellule staminali emopoietiche, espandendo l'impiego di questa particolare terapia anche a quei pazienti adulti o pediatrici che sono a rischio di ricadere dopo trapianto".

I piccoli pazienti dell'Oncoematologia Pediatrica stanno già beneficiando di un programma di prevenzione della recidiva leucemica dopo trapianto attraverso un trattamento con linfociti T educati ad "uccidere" le proprie cellule tumorali, con un metodo ottimizzato da Daniela Montagna, ricercatrice dell'Università di Pavia. "La speranza –conclude Patrizia Comoli - è quella di poter affiancare le terapie cellulari ad altri trattamenti biologici, come gli anticorpi monoclonali, per offrire una terapia a bassa tossicità ma estremamente efficace a pazienti affetti da neoplasie ematologiche o solide".

Data ultimo aggiornamento: 05/04/2017