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Plasma da donatori dalla malattia da nuovo Coronavirus 2019

Plasma da donatori dalla malattia da nuovo Coronavirus 2019 (Covid-19) come terapia per i pazienti critici affetti da Covid-19” è il titolo scientifico dello studio pilota illustrato nei giorni scorsi.

Il protocollo, iniziato il 17 marzo e concluso l’8 maggio, è stato scritto nella prima decade di marzo quando i dati del Ministero della Salute Italiano segnalava 8.514 persone positive, di cui il 59,2% ricoverate con sintomi, il 10,3% ricoverate in terapia intensiva; il 30,5% in isolamento domiciliare, il 9,9% guarite.
 
Come è nato il protocollo
Generalmente, la carica virale ha un picco nella prima settimana di infezione e il paziente sviluppa una risposta immunitaria primaria entro i giorni 10–14, seguita dalla clearance del virus – ha commentato Carlo Nicora, direttore generale della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia -. I ricercatori hanno pensato quindi di studiare l’effetto della immunizzazione passiva somministrando anticorpi specifici contro il Coronavirus contenuti nel plasma ottenuto dai soggetti guariti”.
Questa strategia è stata utilizzata fin dall’inizio del secolo scorso, ma ha ricevuto un crescente interesse nella terapia della MERS (Middle East Respiratory Syndrome da coronavirus), nella influenza aviaria (H1N1 e H5N1), nella SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome) e nella infezione da Ebola.
In base a quanto evidenziato dalla letteratura scientifica, l’uso di plasma da donatori convalescenti potrebbe avere un ruolo terapeutico, senza gravi eventi avversi nei pazienti critici affetti da COVID-19; la possibilità di disporre di donatori locali offre il valore aggiunto di dare una immunità specifica acquisita contro l’agente infettivo proprio del ceppo locale, in considerazione del fatto che in altre aree il ceppo potrebbe essere differente; la possibilità di raccogliere il plasma mediante procedura di plasmaferesi con rapidità ed efficacia, mettendolo immediatamente a disposizione del paziente che ne abbia necessità, rappresenta in questo momento una possibilità terapeutica ulteriore. Oltre a questi aspetti, ad oggi, non esistono studi in letteratura che ne dimostrino la fattibilità e l’efficacia nell’ambito dell’epidemia mondiale di SARS-CoV-2.
Alla base di questo studio abbiamo già detto che c’è la immunizzazione passiva cioè la somministrazione di plasma che contiene anticorpi specifici contro il Coronavirus. Ma la prima domanda che il Professor Baldanti si è posto è: quali? e poi: quanti?
Sembra infatti appurato che la glicoproteina S (spike) presente sulla membrana virale svolga un ruolo determinante nell’ingresso del virus nella cellula bersaglio, rappresentando anche il principale antigene responsabile dell’induzione di risposta immune nell’ospite.
I ricercatori coinvolti hanno quindi disegnato lo studio ipotizzando che, l’induzione di sufficienti livelli di Anticorpi Neutralizzanti, trasferiti passivamente al paziente affetto, avrebbero dovuto favorire la neutralizzazione del virus, prevenire l’ulteriore infezione delle cellule bersaglio, quindi ridurre la carica virale e ridurre la severità della malattia, andando a misurare tre obiettivi:
  • riduzione della mortalità a breve termine in terapia intensiva
  • miglioramento dei parametri respiratori
  • miglioramento dei parametri legati alla infiammazione 
Gli anticorpi neutralizzanti
Prendendo il siero di pazienti che hanno superato l’infezione (a due settimane dal primo caso) e aggiungendolo a colture cellulari – ha spiegato Fausto Baldanti, responsabile del Laboratorio di Virologia Molecolare del Policlinico San Matteo di Paviaabbiamo visto che lo sviluppo del virus veniva annientato. Quindi c’erano anticorpi neutralizzanti. A quel punto bisognava capire quanti ce ne fossero. Da qui l’applicazione di un parametro, che in linguaggio scientifico si definisce ‘Titolo’, che serve per capire quale diluizione di siero è ancora in grado di uccidere il virus in coltura. Il risultato ottenuto ha accertato che il rapporto è 1:640, ossia diluendo 640 volte il plasma di un paziente, questo riesce a uccidere il virus”. 
 
Come avviene la raccolta del plasma
Una volta stabilita la titolazione del plasma – ha detto Cesare Perotti, Direttore servizio Immunoematologia Policlinico San Matteo Pavia –, la raccolta avviene grazie ai separatori cellulari, che sono delle apparecchiature in funzione in almeno 36 centri in Lombardia e quindi è una possibilità di raccolta molto vasta e molto ampia. Il donatore deve garantire la sicurezza di avere in circolo questi anticorpi. Per farlo si procede con un percorso di triage, che comporta rintracciamento del soggetto e arruolamento con visita medica accurata, perché non va dimenticata la sicurezza del donatore. Concluso questo percorso, il paziente idoneo si sottopone a questa procedura, che dura circa 40 minuti e permette di raccogliere una quantità di plasma standardizzato di circa 600 ml; nel protocollo è stato stabilito che la quantità ottimale da infondere è circa 300 ml. Quindi, da un solo paziente convalescente si ottengono due dosi di plasma per le cure”.
 
Selezione del campione
Gli studi pilota servono a testare un’idea, per capire se si può operare in sicurezza, con determinati criteri e vengono condotti su un numero di pazienti limitato – ha commentato Raffaele Bruno, direttore di Malattie Infettive al Policlinico San Matteo di Pavia -. Il nostro era quello di verificare l’efficacia del plasma. Confermata l’idea si può passare a studi con numeri superiori”.
I pazienti arruolati dovevano rispettare i seguenti criteri: “avere più di 18 anni; il tampone positivo; un distress respiratorio, ovvero difficoltà di respirazione tali da necessitare supporto di ossigeno o necessità di intubazione; una radiografia al torace positiva che mostrasse la polmonite interstiziale bilaterale; nonché caratteristiche respiratorie tali da far preoccupare il clinico sulle loro condizioni” – ha spiegato Bruno.
L’arruolamento dei pazienti ha interessato sia Pavia che Mantova, con un paziente proveniente da fuori regione (ndr Novara); sono stati in tutto 46, tutti avevano necessità di ossigeno e sette erano intubati.
 
Di fatto, quanto sperimentato e che rientrerà in una pubblicazione scientifica che uscirà nei prossimi giorni, ha dimostrato che “la mortalità dei pazienti in terapia intensiva era tra il 13 e il 20 per cento – ha riferito il professor Fausto Baldanti e il nostro primo obiettivo era verificare se la terapia con plasma iperimmune riducesse la perdita di vite umane. Abbiamo sperimentato che, utilizzando la nostra tecnica, la mortalità si è ridotta al 6 per cento. In altre parole da un decesso atteso ogni 6 pazienti, se ne è verificato uno ogni 16. Contemporaneamente constatavamo che anche gli altri parametri subivano miglioramenti considerevoli: i valori del distress respiratorio miglioravano entro la prima settimana e i tre parametri fissati per l’infezione erano diminuiti in maniera altrettanto importante”.
 
I risultati dello studio pilota condotto dal San Matteo di Pavia, applicato anche dall’ospedale Carlo Poma di Mantova – ha detto Attilio Fontana, presidente di Regione Lombardiaaccendono una grande speranza per contrastare il coronavirus. Lunedì 11 maggio è un giorno importante per la Lombardia che, prima in Italia, ha completato una sperimentazione sull’utilizzo del plasma iperimmune condivisa con altre regioni italiane e all’estero, con gli Stati Uniti, che lo stanno già utilizzando nelle loro strutture sanitarie. Nella mattinata ho avuto un colloquio con il ministro Speranza, che ha confermato la grande attenzione del Governo nei confronti dello studio del San Matteo di Pavia che intende estendere su tutto il territorio nazionale”.
 
Siamo molto orgogliosi – ha sottolineato Giulio Gallera, assessore al Welfare di Regione Lombardiadi questo risultato. Siamo l’unica Regione che ha un protocollo con risultati strutturati. Ma ciò che abbiamo fatto lo abbiamo già messo a disposizione del Paese, abbiamo dati tracciati su buon numero di pazienti. La strada scelta è stata dettata dalla scienza e ha l’obiettivo di salvare il maggior numero di vite possibili”.
 
Il San Matteo di Pavia, ora, definirà il Protocollo per la donazione, successivamente inizierà la raccolta del sangue e del plasma. I primi a essere contattati dalle Ats saranno i guariti. A quel punto, Avis inizierà la raccolta a partire dalle aree più colpite della Lombardia. L’idea è quella di estendere la sperimentazione su numero significativo di malati, in modo da provare il plasma come strumento di cura.
 
Al seguente link è possibile accedere alla videoconferenza stampa:
 
 
 
 

 

Data ultimo aggiornamento: 07/07/2020