Il San Matteo: accogliere e curare
Il Santo Padre, con il suo messaggio per la XXIX Giornata Mondiale del Malato, ci richiama ad un’attenzione speciale nei confronti delle persone malate e di coloro che le assistono.
Prendersi cura dell’uomo, scopo ultimo del nostro lavoro di medici, infermieri e ricercatori, implica un ampliamento del proprio orizzonte che tenda ad accogliere l’altro, vincendo una distanza che altrimenti apparirebbe incolmabile.
La risposta al bisogno che incontriamo non è esclusivamente un problema di risorse e di organizzazione, ma accade dentro una relazione professionale, che trascende nell’umano; perché nella cura del malato, nel rapporto con il malato e la malattia, deve essere coinvolto tutto di noi.
Solo così potremo dare il massimo, cioè potremo mettere a disposizione tutto ciò che conosciamo, tutta la nostra professionalità ed approntare i processi metodologici che permettono di aumentare la nostra conoscenza e la nostra capacità di cura.
Il coinvolgere, il farsi coinvolgere, l’entrare in relazione, il farsi carico, sono un nostro dovere e ci permettono di costruire il nostro essere “umani”.
Siamo abituati a curare e prenderci cura con abnegazione ed elevato senso di responsabilità “per la commozione verso l’umano, verso il desiderio di affermarne con i fatti la dignità durante ogni condizione della vita”. La medicina moderna non ha più bisogno di negare che ci sono dimensioni spirituali e affettive che incidono anche sui parametri fisici, e si parla sempre più di benessere anche per chi non può guarire. E questo il covid ce lo ha ricordato molto bene.
E’ passato quasi un anno da quel 20.02.2020, giorno in cui l’equipe del Laboratorio di Virologia Molecolare del San Matteo ha co-diagnosticato il primo caso di infezione autoctona in Lombardia e in Italia. Da quel momento il nostro Ospedale è sempre stato in prima linea, sia nell’assistenza (attivando i primi cinque posti letto di terapia intensiva; registrando 6.340 accessi di Pronto Soccorso e oltre 2.300 pazienti ricoverati per il covid) sia nella ricerca. Il San Matteo, infatti, nell’ambito dell’attività di ricerca sul coronavirus ha già pubblicato 282 lavori e sono in fase di attivazione 47 ricerche sia di laboratorio che cliniche: “e questo è qualcosa di straordinario” come ha evidenziato uno scienziato di fama internazionale.
Il covid ci ha posto di fronte a un nuovo modo di assistere, di curare e di prendersi cura, perché la congiuntura di questa pandemia ha messo in risalto l’impossibilità delle ultime carezze per i propri cari, delle ultime parole sussurrate, delle ultime preghiere; ha lasciato emergere la solitudine del morente. Sono stati medici e infermieri che nel curare e nel prendersi cura dell’altro hanno rivestito questo ruolo di messaggeri tra i pazienti e i loro affetti più cari: a loro sono state lasciate le ultime parole, anche quelle mai dette; a loro sono stati lasciati i saluti e quella carezza che i parenti non hanno potuto dare e i pazienti non hanno potuto ricevere.
Sono loro “una schiera silenziosa di uomini e donne che hanno scelto di guardare quei volti, facendosi carico delle ferite dei pazienti che sentivano prossimi in virtù della comune appartenenza alla famiglia umana”, come li ha definiti Papa Francesco che “professionalità e abnegazione hanno aiutato, curato, confortato e servito tanti malati e i loro familiari”.
Da questo deriva la capacità di futuro e quindi la risposta alla domanda su come e su dove vi sia bisogno di Noi.
Non dobbiamo avere paura! Per agire occorrono idee, cuore, coraggio, visione innovativa, determinazione e nuove competenze. Ma si può fare: al San Matteo sta già succedendo!
IL DIRETTORE GENERALE
Carlo Nicora